Recensione: SCRAP MOUNTAIN – La storia di Fudo

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Pubblicato per la prima volta a luglio 2015 sulle pagine del mensile giapponese Comic Zenon, Scrap Mountain (Titolo completo: 北斗の拳イチゴ味 五車星GAI伝 其之二 SCRAP MOUNTAIN – Hokuto No Ken Gusto Fragola – La Storia Parallela dei Nanto Goshasei Capitolo Secondo – SCRAP MOUNTAIN) è un altro degli spin off brevi che Takeshi Kawada (testi) e Yukito (disegni) hanno dedicato ai personaggi di Ken il guerriero. Protagonista di questa storia è Fudo della Montagna, gigante dal cuore d’oro ma dal passato violento che tutti gli appassionati di Ken hanno imparato ad amare mentre si opponeva con tenacia e spirito di sacrificio agli impetuosi colpi di Raoh nella serie storica.

Le vicende qui narrate partono proprio dal momento in cui il Re del Pugno lancia la sua sfida al guerriero dei Cinque Astri in Cerchio, obbligandolo a combattere dietro la minaccia di sterminare i suoi numerosi bambini adottivi. Di lì, un flashback ci riporta ai primi giorni di vita del protagonista, descrivendoci sia le sfortunate circostanze in cui è venuto alla luce – suo padre si è ammalato ed è morto quando è stato concepito, mentre la madre è morta praticamente sventrata dalla sua forza mentre lo partoriva – sia la sua enorme mole, talmente esagerata da mettere in agitazione i superstiziosi abitanti della comunità in cui è nato. Questi infatti, dopo averlo additato come “figlio del diavolo”, decidono che è meglio sbarazzarsene lasciandolo a morire di stenti sulle montagne. Fortunatamente, non tutto il mondo è popolato da gente senza cuore…

Fudo viene infatti trovato e salvato da una donna misteriosa – di cui non viene rivelato il nome in tutto l’episodio – che in passato si è trovata a subire una sorte molto simile alla sua. Dotata della capacità di prevedere il futuro, venne ritenuta una strega e cacciata via dal villaggio in cui viveva. Costretta a vivere come un’eremita fra i monti, la donna non ha più avuto modo di godere della compagnia di altri esseri umani per decine di anni. È quindi anche con una certa gioia che decide di accudire e crescere quel neonato. Ma gli anni passano in fretta e ben presto Fudo si trova di nuovo a fare i conti con il suo avverso fato. Gli abitanti del villaggio sono infatti in subbuglio perché recentemente sono scomparse ben sei persone che si erano recate sulle montagne e, invece di rendersi conto che il motivo è da imputare alla ferocia degli orsi affamati dal lungo inverno trascorso, decidono di partire con una spedizione per verificare se quel demonio che pensavano di aver tolto di mezzo non sia invece sopravvissuto come sembra invece affermare l’anziano.

Ben presto gli eventi precipitano e, a farne le spese, è la madre adottiva di Fudo, che si frappone fra il bambino ed un letale colpo di fucile. Ironia della sorte, sono proprio le azioni degli abitanti del villaggio a trasformare quel docile dodicenne nel mostro che tanto avevano temuto…

La sua furia è crudele e devastante, tanto da spazzare via, nel giro di tre giorni e tre notti in cui un grosso incendio sembra accompagnarlo dai monti fino a valle, l’intero villaggio ed i suoi abitanti. È nato Fudo il Demonio.

La storia ci riporta quindi allo scontro finale con Raoh, in cui ormai si è giunti alle battute finali che ben conosciamo. La vita di Fudo si spegne di nuovo fra le braccia di Kenshiro non prima di avergli però affidato i suoi amati bambini.

Cosa dire di questo “Fudo Gaiden”? Beh, onestamente, fino ad ora, è uno degli omaggi che più mi è piaciuto tra tutti quelli dedicati ai vari personaggi della serie. Tanto per cominciare ho trovato azzeccatissimo il tono fiabesco della vicenda, che ricorda da vicino le tante (ed inquietanti) leggende sulle creature sovrannaturali della tradizione giapponese. In secondo luogo, nella sua semplicità (volendo, anche nella sua ovvietà), la storia raccontata riesce comunque a smuovere delle corde. Perché mentre la serie storica ci ha abituato a classificare sempre come “poveri innocenti” tutti quei sopravvissuti che subiscono le angherie dei malvagi predoni, qui si scava un po’ più a fondo. Fudo non è infatti vittima di spietati aguzzini sotto il controllo di qualche sedicente dominatore guerrafondaio, non deve vedersela con bande armate di delinquenti cresciuti nella violenza. No. Fudo è vittima della – volendo parafrasare la scrittrice Hannah Arendt – “banalità del male”. Gli abitanti del villaggio sono infatti convinti di agire per il meglio, non sembrano avere la reale consapevolezza delle loro azioni. Non sono quindi “malvagi” in senso stretto, sono mossi da sentimenti che invece ritengono nobili. Questo secondo me è un punto importante su cui riflettere perché, virtualmente, tutti potremmo essere come loro, pronti a giudicare il prossimo sulla base di nostre convinzioni personali ma senza renderci conto che tali convinzioni sono del tutto errate. Tra l’altro c’è un parallelismo che forse non si coglie appieno se non ci si ferma a riflettere un attimo. Quando le fiamme dell’incendio inghiottono il villaggio, subito dopo viene detto che in seguito le fiamme nucleari avrebbero inghiottito il mondo intero. Se da un lato è evidente che tra le due cose c’è un paragone, dall’altra si dovrebbe pensare a chi è davvero responsabile dell’accaduto. Se, infatti, nel caso di Fudo sono gli abitanti stessi del villaggio ad attirare su di sé la morte, lo stesso si può dire della società che in seguito sarebbe andata incontro alla catastrofe nucleare. Insomma, Kawada qui è serio: attraverso la “fiaba” su Fudo ci ricorda che, finché ci comportiamo da ottusi, il mondo non potrà che andare in un’unica direzione.

Riguardo ai disegni, devo dire che per una volta Yukito – che comunque ne deve ancora mangiare di pane – è riuscito a distaccarsi dal suo solito stile un po’ metrosexual adottando invece un approccio più crudo e vicino alla virilità degli originali protagonisti della vicenda. Sia Fudo che Raoh sono infatti tratteggiati in maniera molto più vicina al modello imposto da Tetsuo Hara di quanto non lo siano finora stati altri personaggi passati per le mani di questo mangaka ancora agli esordi. Insomma, promosso.

Passando invece alle “note dolenti”, mi spiace ammettere che nelle ultime pagine c’è un errore molto grave. Sicuramente guardando le immagini ve ne sarete già accorti ma, forse per la necessità di dover sintetizzare in poche vignette una sequenza che originariamente si dipanava su diverse pagine, la morte di Fudo viene completamente stravolta. I testi sono gli stessi del manga originale ma le immagini mostrano il guerriero trafitto dalle mani di Raoh invece che dalle gigantesche frecce scoccate dagli impulsivi soldati del suo esercito. Infatti Fudo aveva sconfitto Raoh, costringendolo ad oltrepassare una linea che egli stesso aveva tracciato, ma in questo breve racconto la cosa viene taciuta, anche se poi al protagonista viene comunque fatta dire la frase “… papà ha vinto”, che a questo punto possono capire solo coloro che conoscono bene la storia. Sicuramente si dirà: “vabbé, tanto lo leggono solo i fan di Ken, quindi…”, che è un’affermazione sulla quale mi posso pur trovare d’accordo per un buon 90%, ma resta il fatto che questa svista (chiamiamola così), rovina in parte un omaggio che altrimenti reputerei perfetto.

3 risposte a “Recensione: SCRAP MOUNTAIN – La storia di Fudo

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