Il 2023 è stato una pietra miliare per noi appassionati di Ken il guerriero, segnando il 40° anniversario di un’opera che, a distanza di tanto tempo, resta non solo ineguagliata, ma anche seminale per le altre serie di successo venute dopo, tanto da essersi guadagnata, in Giappone, la nomea di “testo sacro degli shonen”.
E tra l’allestimento di un’esclusiva mostra d’arte e l’annuncio di un nuovo anime dedicato, il maestro Tetsuo Hara ha trovato il tempo anche di parlare alla rivista nipponica GOETHE, ripercorrendo la storia della creazione dell’universo di Hokuto e snocciolando alcune informazioni fino ad oggi inedite. Un lungo excursus che abbiamo pensato di riassumere a chiusura di un anno tanto speciale per ogni amante di Kenshiro e della sua epica saga. Buona lettura 👊
Come è iniziato tutto
Nella prima parte della lunga intervista rilasciata a GOETHE, il maestro Hara ricorda il suo sfortunato debutto con la breve serie Iron Don Quixote. All’epoca aveva solo 21 anni e la cancellazione, dopo solo 10 settimane, fu per lui una vera batosta. E’ storia nota che Nobuhiko Horie, il suo editor, andò da lui con una nuova idea. L’uomo aveva infatti compreso il vero potenziale del giovane Hara e non voleva lasciarlo in panchina. Si ricordò che il ragazzo, fin dalle medie, desiderava realizzare un manga di arti marziali e gli disse: “Facciamo un nuovo manga a base di kung fu. Che ne pensi di una storia con persone che esplodono quando vengono colpite in punti segreti del corpo?”
All’inizio un po’ confuso dall’idea, il maestro Hara si concentrò però sull’opportunità che gli veniva offerta di poter finalmente creare il manga che da sempre sognava. Amava tantissimo i film di arti marziali di Bruce Lee e decise, visto che l’attore era già morto quando Hara era alle medie, di farlo rivivere nella sua nuova serie. Fu allora che nacque Kenshiro, protagonista di due episodi di prova, pubblicati ad aprile e luglio del 1983, che vennero accolti benissimo dai lettori, tanto da indurre l’editore a lanciare la serie regolare, che sarebbe iniziata di lì a poco: il 13 settembre dello stesso anno.
Il rapporto con Buronson e i ritmi di lavoro
Quando iniziò la serializzazione di Ken il guerriero, venne chiamato Buronson a scriverne la trama. Entrambi erano diffidenti l’uno verso l’altro, soprattutto per via dei 13 anni di differenza che li separavano. Tale diffidenza venne superata quando ognuno dei due ebbe modo di rendersi conto del valore dell’altro. Se Buronson rimase stupito del livello artistico di Hara, a sua volta Hara venne colpito molto dalla profondità delle storie e dei personaggi creati da Buronson. A questo punto si potrebbe pensare che la serie sia stata realizzata grazie ad un continuo confronto tra i due autori, ma la verità non potrebbe essere più diversa. Per tutto il tempo in cui il manga è stato serializzato su Shonen Jump, Tetsuo Hara riceveva soltanto la sceneggiatura scritta da Buronson. “Le uniche volte che ci incontravamo era in occasioni come cerimonie di premiazione e simili”.
Il maestro ricorda il disperato impegno con cui si era dedicato a Ken il guerriero. Dopo l’insuccesso del suo manga d’esordio, di cui abbiamo parlato poco più su, voleva che questo fosse il suo capolavoro. C’era in gioco la sua carriera come mangaka. Ai tempi lavorava tra le 15 e le 20 ore ogni giorno, delegando ben poco ai suoi assistenti. “Mi addormentavo sulla sedia e cadevo come un morto sul pavimento. Questo succedeva praticamente ogni giorno e ricordo a malapena qualche volta in cui sono riuscito a dormire in un futon”.
I protagonisti
In quel periodo, il maestro Hara dice di essere come sparito dal mondo reale per essere completamente assorbito dalle pagine di Ken il guerriero, arrivando al punto di sentirsi parte dei personaggi che disegnava. Questo lo ha sicuramente aiutato nella caratterizzazione non solo dei potenti guerrieri che animano la serie, ma anche delle tantissime figure minori che ancora oggi restano memorabili. Eppure, anche in questo processo il maestro ha avuto delle iniziali difficoltà. Se per la creazione di Kenshiro è ormai arcinota l’ispirazione e la fusione tra Bruce Lee, Yusaku Matsuda e Mel Gibson (solo in un secondo momento inizierà ad avere diversi tratti di Sylvester Stallone), non è stato così semplice dare volto e forma agli altri protagonisti della storia. Inizialmente, dice Hara, tutti i personaggi a cui pensava finivano per assomigliare a Kenshiro o Shin. Fu allora che ebbe una delle idee che ancora oggi rappresenta un punto cardine di Ken il guerriero: se il protagonista era stato modellato partendo da persone reali, avrebbe fatto lo stesso con il resto del cast. E qui, il maestro tira fuori alcuni esempi noti ma anche altri che non avevamo mai immaginato. Se, infatti, vengono confermate le ispirazioni a Rutger Hauer per Raoh, a Boy George per Juda o a David Bowie per Ryuga, è la prima volta che vengono menzionati Clint Eastwood per Shu, Malcolm McDowell per Souther e il misconosciuto Robert Lambert per Rei.
“Dopo aver risolto questo problema, non ho avuto altre difficoltà a creare i protagonisti di Ken il guerriero. Avevo accumulato molte idee, quindi le cose hanno preso forma rapidamente. Quando ero alle elementari, adoravo Ultraman e Kamen Rider. In queste serie, ogni settimana c’era un mostro diverso. Avendo deciso che in futuro sarei diventato un mangaka, ho iniziato a creare personaggi già da allora. Anche in classe spesso disegnavo mostri sul mio quaderno invece che ascoltare l’insegnante, tanto che un giorno fui scoperto, ma l’insegnante non si arrabbiò e piuttosto mi disse che ero bravo. Ero proprio convinto che sarei diventato un mangaka (ride)”.
Il maestro ricorda come gli siano rimaste impresse le parole di Kazuo Koike che, durante un corso, disse che “un manga è fatto di personaggi” e “non sottovalutare i personaggi minori”. Questo rafforzò molto la sua idea di infondere particolare attenzione nella creazione di figure memorabili, anche quando potevano morire nel giro di poche vignette. E se da un lato afferma che si divertiva molto a disegnare ad esempio Souther, inizialmente non voleva disegnare Raoh! Può sembrare assurdo, ma Tetsuo Hara spiega che non apprezzava l’idea di dover disegnare un personaggio che apparisse più forte di Kenshiro. All’inizio era quindi combattuto ma ha poi realizzato che Raoh, oltre ad essere un personaggio fondamentale per dare una svolta alle vicende, sarebbe servito a mostrare ancor di più la forza del protagonista principale.
Sempre restando sul lato artistico, una digressione è riservata alla creazione dell’Aura dei diversi personaggi. In realtà si tratta di uno speciale realizzato nel 2006 sempre per GOETHE durante il periodo di revival offerto dalla Pentalogia e appositamente riesumato per questa occasione. Ad ogni modo rivela come l’idea sia un effetto visivo immaginato da Hara e non presente nella sceneggiatura scritta da Buronson. Anche qui entra in gioco la minuziosità del maestro, che afferma non solo di disegnare differenti tipi di emanazione dell’Aura in base al personaggio che la sprigiona, cercando di seguirne il carattere, ma anche di variare tale tipo di emanazione in base all’evoluzione del personaggio!
Ad esempio, l’Aura di Kenshiro è come un diffondersi di morbide increspature, quella di Raoh è forte e lineare e quella di Toki è come un flusso d’acqua scintillante. Tuttavia, nella battaglia finale tra Kenshiro e Raoh, quest’ultimo assume un’Aura di tristezza e la sua rappresentazione cambia.
La fine di un’epoca
Ciò detto, tanta attenzione ai dettagli aveva un pesante rovescio della medaglia. Come detto poco più su, il maestro Hara non poteva delegare più di tanto ai suoi assistenti e questo comportava per lui un carico di lavoro eccessivo. Emblematico l’aneddoto che lo vide tentare di affidare ad un collaboratore un disegno di Re Nero solo per rendersi conto che non era il caso. Detto in parole povere, riuscire a pubblicare un episodio a settimana per tutto quel tempo, mantenendo sempre quel livello qualitativo, fu un vero miracolo. Un momento particolarmente critico da gestire fu quello successivo alla morte di Raoh. Ken il guerriero era all’apice della popolarità in patria e, nonostante i piani iniziali prevedessero la conclusione del manga, troppi erano gli interessi in gioco per fermarsi lì. Così, senza avere neanche un attimo di respiro, il maestro Hara si trovò a fronteggiare la sfida di dover proiettare storia e personaggi avanti negli anni e tentare di eguagliare il successo raccolto fino a quel momento. Ciò ebbe un evidente impatto non solo a livello di trama, ma anche graficamente. Lo stesso maestro Hara non è pienamente soddisfatto del lavoro svolto in quel periodo, tanto da aver personalmente ritoccato diverse tavole negli anni più recenti. Quando poi, nel 1988, la serie si concluse definitivamente, da un lato si sentì sollevato, libero dalle scadenze da rispettare. Dall’altro ebbe sentimenti contrastanti perché il manga si era chiuso in un momento in cui aveva ormai perso popolarità.
“Hokuto è eterno!”
Di lì in poi, Tetsuo Hara avrebbe avuto tanti alti e bassi nella sua carriera, passando da esperienze più o meno negative come Cyber Blue a capolavori indiscussi come Hana No Keiji e tanti altri, compresi Souten No Ken o Ikusa No Ko. “Ho sperimentato sia il successo che il fallimento e ho compreso che molti sono pronti a sostenermi. Anche quei mangaka ed editori più anziani che mi hanno detto cose spiacevoli, sono stati in realtà una fonte di forza per me.” Ed è con questo spirito che, all’inizio del nuovo millennio, il maestro ha deciso, sempre grazie a Nobuhiko Horie, di riappropriarsi di Ken il guerriero ed espanderne i confini grazie a nuovi progetti. Progetti di cui la recente mostra per il quarantennale tenutasi in Giappone rappresenta un punto d’arrivo significativo oltre che simbolico. Uno sguardo al passato ma marciando con decisione verso il futuro. La storia di un’opera epica che si intreccia con l’esistenza stessa del suo creatore il quale, a giugno 2023, ha finalmente ricevuto un trapianto di cornea dovuto al progressivo aggravarsi del suo cheratocono, una patologia rara che lo ha costretto per tanti anni a disegnare con un occhio solo e quasi ad abbandonare la carriera. Ora, invece, anche a celebrare questo suo ulteriore traguardo personale, il maestro ha realizzato ben 3 dipinti esclusivamente per la mostra.
Ed è proprio pensando a tali dipinti e al confine tra manga e arte che il maestro Hara pone una riflessione interessante circa l’intelligenza artificiale ed i possibili sviluppi per il futuro. Egli non nega che questo tipo di tecnologie possano essere d’aiuto nel suo settore ma, facendo appello anche alla sua esperienza personale, afferma: “Ciò che l’intelligenza artificiale non può fare è essere ‘pronta a morire’. Soffrire, soffrire, soffrire e riflettere. E poi, quando pensi ‘per questo morirei’, o ‘questo è quello che volevo’.”, è allora che ‘l’anima entra’. Quelle immagini con un’anima che rendono felici tutti i lettori… Farlo, mettere in gioco la tua vita, abbandonare i tuoi desideri, annullarti. Andare avanti, non importa quanto sia doloroso. Questo è tutto quello che ho.”