[1987 – 2017] Trent’anni di Ken il guerriero in Italia

Molti magari non l’avranno notato, ma il 2017 segna il trentesimo anniversario dello sbarco di Kenshiro sulle reti televisive nostrane. Difficile è risalire ad una data precisa perché, avendo debuttato su diverse emittenti locali in tempi e in orari differenti, non vi è alcuna certezza circa l’effettivo giorno della prima messa in onda. Quello che è certo però, è che il guerriero di Hokuto da allora, per me come per tantissimi altri, è diventato come uno di famiglia. Perché? Credo per tanti motivi, ma per quanto mi riguarda è capitato in un periodo particolarmente felice della vita, sovrapponendosi ai ricordi più belli dell’adolescenza. E non è forse questo il “segreto” della maggioranza delle serie cult? Ebbene, se in altre occasioni ho preferito parlare in generale della storia di Ken, della sua genesi e di come sia giunto fino ad oggi cavalcando i decenni senza perdere neanche un po’ di smalto, in questo post l’idea è di parlare di come Ken l’ho vissuto io, sicuro che questo tuffo nel passato risveglierà i ricordi di tanti  🙂

La prima volta che io e Ken ci siamo incontrati è stato a casa di mio nonno. Dopo aver passato una vita prima al fronte e poi a lavorare la campagna, mio nonno si era ritrovato a starsene a casa per motivi di salute e quindi, mentre oggi la gente passa le giornate sui social, lui all’epoca poteva soltanto fare zapping tra ciò che offrivano le diverse reti televisive. Nel 1987, come molti ricorderanno, i palinsesti pomeridiani erano letteralmente inondati di cartoni di ogni genere e mio nonno si ritrovò quindi giocoforza a guardarli. Inutile dire che in breve tempo si appassionò così tanto a certe serie che ormai si era praticamente creato il suo palinsesto personale, saltando con precisione da un’emittente all’altra in base all’orario per seguire la messa in onda delle nuove puntate. Fu così che un giorno, mentre io ero arrivato da poco e mi ero seduto lì sul divano, terminata la rituale visione di Quark il saggio progenitore allungò il braccio verso la tv e spinse il pulsante per cambiare canale, portandosi su Junior TV.

Quello che vidi ebbe su di me un profondo impatto. Dopo Černobyl’, la paura della guerra atomica era un argomento sentitissimo e, in particolare, mi era rimasta impressa una frase dal film The Day After, una citazione di Einstein che recitava: “Non so come si combatterà la terza guerra mondiale, ma so come si combatterà la quarta: con bastoni e pietre”. Oggi le paure sono altre, siamo nella morsa di una crisi economica di cui sembra non vedersi mai la fine, ma all’epoca tanto l’Italia quanto il Giappone vivevano un periodo di benessere. E quindi “il nemico”, l’ombra nera che aleggiava sull’umanità era quella di un’imminente conflitto nucleare e non si trattava solo di un argomento utile ad imbastire la trama di qualche film hollywoodiano, ma era qualcosa che influenzava realmente le discussioni di tutti i giorni. Se ne parlava anche a scuola. Insomma, dire che Ken il guerriero capitava a fagiolo non esprime pienamente il concetto. Nella mia mente  si è innescato quindi un vero e proprio cortocircuito quando ho sentito per la prima volta l’introduzione del cartone animato, con la voce narrante che diceva:

“Siamo alla fine del ventesimo secolo. Il mondo intero è sconvolto dalle esplosioni atomiche. Sulla faccia della Terra gli oceani erano scomparsi e le pianure avevano l’aspetto di desolati deserti. Tuttavia, la razza umana era sopravvissuta”.

Poi è partita la bellissima e suggestiva sigla degli Spectra

La musica da sola creava già un’atmosfera tesa, mentre le parole racchiudevano disperazione, morte e violenza in maniera che definirei poetica. E tutto questo solo per quanto concerne lo scenario in cui si muoveva il protagonista. Che dire invece degli altri elementi, sapientemente “scippati” altrove dagli autori e amalgamati assieme per creare quel mix unico? Partiamo dalle arti marziali: mio padre e mio zio, suo fratello minore, erano appassionati dei film di Bruce Lee. Quelli erano anni in cui i palinsesti delle TV abbondavano di tali produzioni. Mio zio, già menzionato, aveva la sua piccola palestra in camera da letto e, appesi alle pareti, diversi poster proprio di Bruce Lee. Scene riprese dai suoi film e le cui pose le ritrovavo pari pari in Kenshiro in diversi episodi del cartone. Perché Kenshiro ERA Bruce Lee, c’è poco da fare. Laddove l’autore del fumetto originale aveva cercato di creare una commistione tra diversi attori (tra i quali Mel Gibson e, in seguito, Sylvester Stallone) per caratterizzare fisicamente il personaggio, chi si era occupato di trasporre l’opera in animazione aveva decisamente posto l’accento sulla somiglianza tra il protagonista ed il defunto attore e maestro di arti marziali, tanto da copiarne anche le movenze e le varie urla di battaglia. Certo, gli effetti “esplosivi” dei colpi di Kenshiro, così di primo acchitto mi disgustarono un po’, non lo nascondo. D’altronde ero un bambino, ero cresciuto fino a quel momento vedendo al massimo esplodere mostri giganti eliminati sistematicamente da Mazinga e Goldrake in maniera “asettica”. Ci misi un po’ a metabolizzare il tutto. L’episodio in questione, onestamente, non ricordo quale fosse nello specifico. Sicuramente era uno tra quelli della prima parte della saga, che tra l’altro all’epoca avevano il brutto vizio di stopparsi e ricominciare daccapo peggio di quello che sarebbe poi successo con la casa di Leo ne I Cavalieri dello Zodiaco.

Ecco, nonostante questo vero e proprio colpo di fulmine (dal cielo), a quel tempo non riuscii a seguire Ken puntata dopo puntata. Perché? Perché purtroppo a casa mia Junior TV non prendeva bene (per lo stesso motivo mi sarei poi perso buona parte delle puntate del primissimo passaggio televisivo di Dragonball, ma questa è un’altra storia…). Dato che non sempre potevo passare il pomeriggio a casa di mio nonno, provai anche a risintonizzare il canale alla meno peggio, ma il risultato era un’immagine tanto disturbata da farti perdere una diottria al secondo. Insomma, per un po’ dovetti metterci una pietra sopra ed accontentarmi di vederlo occasionalmente. Passarono un po’ di anni, durante i quali l’amore per Ken il guerriero si diffuse in tutto lo stivale e portò la neonata Granata Press del mitico Luigi Bernardi a pubblicarne, a partire dalla fine del 1990, il manga originale.

zero_granata

NOTA: Prima che arrivino i soliti precisini… sì, lo so che prima di Granata Press qualche rivista tipo Japan Magazine aveva pubblicato degli episodi cartacei di Ken (e non solo), ma quello che molti ignorano è che tali pubblicazioni erano realizzate senza l’acquisizione di alcuna licenza dal Giappone e con traduzioni che erano frutto di pura fantasia. Quindi Ken, in Italia, viene pubblicato ufficialmente dal 1990 in poi. Caso chiuso.

Purtroppo persi anche questo treno. Quando seppi che Ken usciva in edicola, infatti, era già il 1992. Perché vivendo in un paesino, anche l’edicola aveva i suoi limiti. Oggi l’idea farebbe ridere, perché siamo abituati alle fumetterie e alle librerie specializzate, ma all’epoca era così. Tanto Zero quanto altre riviste e altri manga, in quel periodo, uscivano dalle mie parti forse una volta sì e due no. Oltretutto, spesso finivano in angoli così remoti dell’edicola stessa che per vederle dovevi o avere la fortuna che ti ci cadesse l’occhio o sapere già dove andare a guardare. Ad ogni modo fu solo grazie al primo volumetto de I Cavalieri dello Zodiaco (sempre di Granata Press), stavolta messo in bella mostra, che seppi che anche Ken veniva pubblicato in Italia. In quei mesi, infatti, Ken e i Cavalieri esordivano in volumetti monografici più o meno in contemporanea, solo che mentre i santi di Athena partivano presentando le prime storie, per Ken si era optato diversamente: il primo volume non presentava la serie dall’inizio, ma continuava da dove si era fermata la pubblicazione su Zero. Questo significava dover recuperare quasi una trentina di numeri della suddetta rivista tramite il servizio arretrati, cosa che per me, che  autofinanziavo le mie passioni risparmiando principalmente su colazioni e merende varie, era quantomeno un miraggio. E quindi niente, nell’attesa che ci fosse qualche tipo di ristampa integrale, dovetti a malincuore passare la mano.

Di lì in poi, iniziò in Italia il vero boom dei manga. Di colpo, un po’ come era successo tanti anni prima con gli anime, con le emittenti nazionali e locali che acquisivano qualsiasi cosa venisse dal Giappone, ora tutti si buttavano a pubblicare i fumetti del Sol Levante. In effetti furono anni magnifici. Oltre alla già citata Granata Press c’erano la Star Comics (con la sua divisione manga guidata dai famosi Kappa Boys) e diverse altre realtà editoriali più o meno grandi come Play Press e simili. Sempre in quegli anni, per soddisfare anche la voglia di animazione, aveva inziato a muovere i primi passi la Yamato Video. In tutto questo, Kenshiro e soci fecero un po’ la parte del leone, tanto che non solo venne pubblicato in VHS (sempre da Granata Press) il famoso film d’animazione del 1986 ma, ben presto, la serie televisiva passò finalmente sul circuito di reti che costituivano Italia 7, permettendomi di recuperare il tempo perso. Tra l’altro il canale prevedeva una rotazione del palinsesto per la quale Ken veniva trasmesso ben 3 volte al giorno: mattino presto, ora di pranzo e ora di cena. Quindi, come dicevo all’inizio, Ken finì per sovrapporsi ai ricordi più belli di quegli anni perché lui c’era sempre. Facevi colazione ed era lì, andavi a scuola ed era sulla bocca di tutti, tornavi da scuola ed era lì, uscivi con gli amici e si parlava degli episodi appena visti, tornavi a casa per cena ed era ancora lì. Ken c’era sempre, anche quando t’innamoravi e quando prendevi le prime sbronze e, male che andasse la giornata, potevi sempre ricaricarti con questa…

Alzi la mano chi, ai tempi, non ha mai provato a registrarsela direttamente dalla TV. Altro che mp3 e lossless! Cassettina, registratore piazzato davanti allo speaker e si andava a comandare!  😂

Ricordo ancora mia madre che, lungi dal dirmi di non vederlo, rimaneva però perplessa di fronte a certe scene e, guardandomi, diceva: “che seccia” (che dalle mie parti equivale ad un “che cavolata”). Intanto però, con questa scusa, se lo vedeva pure lei. Che poi non so se ero particolarmente fortunato io, ma a casa mia tutti guardavamo cartoni.  A pranzo lo vedevo spesso assieme a mio padre che, sempre per la passione sui film di arti marziali di cui parlavo prima, mi chiedeva i dettagli sui personaggi e rimaneva quasi a bocca aperta durante i combattimenti. Che poi, cosa che mi è già capitato di sottolineare in passato, secondo me la vera chiave del successo di Ken in Italia – tolta la spettacolarità dei duelli e delle tecniche segrete dei protagonisti -risiede nei sentimenti spesso esasperati dei personaggi. Perché da popolo dal sangue caldo quale siamo, non potevamo restare indifferenti di fronte a guerrieri che combattono principalmente per l’amore di una donna, a uomini che danno la vita per amicizia… a vicende tragiche in cui la speranza per il futuro risiede tutta nel coraggio e nella forza d’animo non solo di Kenshiro, ma di tutti coloro che decidono di affiancarlo nel suo viaggio.

Comunque, giusto per ricordare a che livello eravamo in quegli anni, basta un attimo pensare che Ken non era solo in TV ma praticamente ovunque. E non mi riferisco solo ai lunghi articoli dedicati dalle riviste di settore come Mangazine e Kappa Magazine (che, se avete nostalgia, potete trovare qui), ma a merchandise di ogni tipo che includeva cartoline, card collezionabili, album di figurine, VHS della serie televisiva, un remix da discoteca della sigla italiana, gioco di carte e gioco di ruolo, solo per citare le cose più semplici da trovare in commercio, ma bastava entrare in negozi un attimino più specializzati come anche solo una fumetteria per trovarci anche merce d’importazione come le action figures, i portachiavi, le statue e tanto altro.

Tra l’altro, anche se a quei tempi internet era ancora uno strumento che definire elitario è un eufemismo,   bastava sfogliare un numero di Mangazine a caso per trovare il mitico Catalogo Hunter che, aggiornato ogni mese, presentava un lunga lista di prodotti (con relativi prezzi) che era possibile ordinare dal Giappone tramite un semplice vaglia postale. Ovviamente non mancavano i CD con le colonne sonore originali di Ken e diverso altro merchandise correlato. Qualche amico si fece spedire  l’album Hokuto No Ken Original Songs  e da allora via a registrare le cassette e a diffondere tra gli amici il “verbo” delle sigle originali. Insomma, di quegli anni anni non mi posso di certo lamentare, tanto più che la Star Comics, a partire dal gennaio del 1997, pubblicò una nuova edizione del manga originale, così potei finalmente colmare anche quella lacuna.  Ciliegina sulla torta, nel 1999 arrivò da noi anche il romanzo di Ken.

Certo, bisogna pure dire che tanta popolarità ebbe il suo rovescio della medaglia. A causa dei suoi contenuti violenti, Ken il guerriero divenne infatti facile bersaglio per chi cercava un perfetto capro espiatorio da legare alle azioni sconsiderate di alcuni giovani che in quegli anni riempivano le pagine di cronaca. Uno fra tutti, il famoso caso dei sassi dal cavalcavia (che potete leggere nel dettaglio cliccando qui). Ora non mi va di addentrarmi tanto nel discorso sulla miopia dei cosiddetti “esperti” e giornalisti vari che scelsero Ken come vittima della loro gogna mediatica, ma è curioso come la storia tenda sempre a ripetersi. Infatti lo stesso era già successo tanti anni prima, quando addirittura si era arrivati ad un’interrogazione parlamentare su Goldrake (ne parlavo qui) e, più in generale, argomentazioni simili saltavano fuori ogni volta che qualche adolescente si rendeva protagonista di episodi violenti. Sarebbe bello ogni tanto ricordare che Caino uccise Abele quando non esistevano gli anime, ma forse – pensiero personale – per la nostra società è molto più comodo additare altri come fonte del problema piuttosto che gettare la maschera ed assumersi ogni tanto la responsabilità dei mostri che genera.

Un’altra cosa che mi ricordo con piacere di quegli anni furono i diversi videogames dedicati a Ken che era possibile reperire per la maggioranza delle console in commercio (anche se quasi tutti erano in giapponese, sigh). Tra tutti, vale la pena menzionare quello davvero mitico uscito per Playstation nel 2000

Oggi a rivederlo fa tenerezza, con quei pupazzoni poligonali che solo la nostra fervida immaginazione poteva davvero associare al tratto dinamico ed accattivante della serie animata e del manga, ma per i tempi era l’avverarsi di un sogno. Sì, è anche vero che più che un gioco era una serie di filmati lunghissimi intervallati da brevi sessioni di combattimento vero e proprio, ma questo non mi impedì di giocarlo e rigiocarlo un’ifinità di volte affrontando a testa bassa i menù in giapponese (senza capirci un accidente, ovvio) e sbloccare i diversi extra che il titolo offriva, in special modo i personaggi con cui affrontare avversari umani in duelli uno contro uno. Così, a memoria, potrei dire che quel gioco rappresentò, almeno nella mia percezione delle cose, la degna conclusione di un ciclo. Ken era arrivato, ci aveva conquistato e pian piano se n’era andato, scomparendo dalla TV e dalle edicole.

Vero è che di lì a poco – più precisamente a settembre del 2001 – l’allora neonata LA7 avrebbe deciso di riproporre l’anime storico nel tardo pomeriggio, ma chi c’era si ricorderà benissimo che l’esperimento ebbe un inaspettato quanto ridicolo esito: le puntate vennero infatti trasmesse in versione censurata! Sì, avete letto bene. LA7 andò davvero a profanare le puntate tagliando le parti in cui si vedevano le esplosioni ed altre forme di violenza, rendendole di fatto inguardabili e piene di “buchi”. Chiaramente smisi subito di guardarlo perché ogni volta era come assistere ad uno stupro, ma per quanto mi sembra di ricordare la cosa durò poco (forse altri protestarono oppure, più semplicemente, gli ascolti calarono in maniera drastica) e Ken venne sostituito (mi pare) da Ranma 1/2.

E mentre il guerriero latitava la mia vita andava avanti. Con gli amici più stretti si giocava ancora ogni tanto al gioco di ruolo, ma nel frattempo mi ero fidanzato e mi stavo preparando al matrimonio. Sì, su una rivista di settore avevo anche letto che in Giappone era iniziata la pubblicazione di Souten No Ken, il nuovo manga di Hara che aveva per protagonista un predecessore del Kenshiro che tutti conoscevamo, ma le notizie erano scarse e la mia testa comunque rivolta altrove. Per un po’ ci perdemmo di vista, io e Ken, e solo nel 2004, trovando in edicola il primo volume italiano di Ken il guerriero – Le origini del mito (cioé proprio quel Souten No Ken di cui avevo letto 3 anni prima), iniziai a riavvicinarmi al mondo di Hokuto.

Ken il guerriero - Le Origini del Mito

L’anno seguente acquistai i 3 OAV che componevano Ken il guerriero – La trilogia e a giugno 2006 mi registrai sul forum di Hokutonoken.it per poter discutere con altri appassionati e scoprire magari qualcosa che non sapevo. Nel 2008, mentre in Giappone si concludeva la Pentalogia e in Italia era da poco approdato al cinema il primo capitolo della stessa, assieme a MusashiMiyamoto e diversi altri conosciuti proprio in rete, fondai il forum di 199X. Qui iniziò effettivamente per me il nuovo ciclo. Se fino ad allora ero stato spettatore passivo delle diverse produzioni, da quel momento in poi mi sono adoperato (coadiuvato proprio dall’insostituibile Musashi) per approfondire e condividere sempre più tutto il possibile su Hokuto No Ken. News, traduzioni di interviste e manga, chiarimenti sugli aspetti più criptici della serie, recensioni, anteprime, guide, schede dettagliate e tanto altro ancora. Tutte cose sulle quali abbiamo fatto scuola e che ancora oggi, nonostante il tempo libero si sia notevolmente ridotto, mi piace portare avanti con la stessa passione di un hacker smanettone alla continua ricerca di sistemi da violare. Anche perché se quando ero ragazzo potevo intuire magari dei significati particolari in quello che vedevo, non era nulla in confronto a quello che ho scoperto man mano che ho fatto ricerche sull’argomento. In Hokuto No Ken ci sono tanti riferimenti storici, filosofici, religiosi e mitologici relativi al Giappone che c’è letteralmente da perdersi e questo ha creato per me un circolo vizioso secondo il quale più scopro, più rimango affascinato e più ho voglia di condividere con altri appassionati. Che poi sì, nella vita ci sono sicuramente cose ben più importanti per cui gioire, come trovare la donna giusta e sposarla, avere dei figli e accompagnarli nel lungo cammino della crescita,  benedizioni che non si possono eguagliare e che ho avuto la fortuna di ricevere, ma la bellezza di coltivare talmente bene un interesse da ricevere consensi e stima da coloro che usufruiscono di quello che scrivi, beh, non si può negare che sia una grossa soddisfazione.

Mentre scrivo questo pezzo non so dire se, quando e come riuscirò a portare a termine tutte le cose (tante, forse pure troppe) che ancora ho in mente di fare su questo sito ma quello che è certo è che, grazie a Ken, mi sono divertito, mi diverto ancora e ho conosciuto tante belle persone, quindi, come il grande Raoh, posso tranquillamente dire: “Non ho alcun rimpianto!”

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Videogames Tribute – Double Dragon

Nuova rubrica, stavolta dedicata interamente alle vecchie glorie del mondo videoludico. E quale titolo migliore per inaugurarla se non il mitico Double Dragon, meglio conosciuto nella mia sala giochi come “il gioco di Ken il guerriero”?

Sviluppato dalla Technos Japan Corporation nel 1987, Double Dragon (双截龍 – Sousetsuryu – letteralmente “I due draghi che intercettano”) è uno dei primi giochi in cui ricordo di aver inserito personalmente le mie 200 lire (prendendo un sacco di sberle e crepando prima ancora di capire cosa stesse succedendo, ma questo è un altro discorso…), il “nonno” di ogni picchiaduro a scorrimento che si rispetti. Come dicevo all’inizio, dalle mie parti era noto come “il gioco di Ken il guerriero” e, tolto che in effetti l’aspetto dei protagonisti e dei loro avversari richiamava il violento mondo postatomico che all’epoca ci veniva presentato su Junior TV, quello che non potevamo sapere era che la “trama” (che nel gioco non era nemmeno accennata, ma di cui siamo venuti a conoscenza grazie ai libretti di istruzioni delle successive e molteplici versioni casalinghe) era davvero ispirata al nostro anime preferito! Non ci credete? Eccola:

“In un anno imprecisato alla fine del ventesimo secolo (19XX), la maggioranza della popolazione mondiale è morta a causa di un conflitto nucleare e i pochi sopravvissuti sono alla mercé di violente bande criminali. La più potente di esse è quella dei Black Warriors, un’organizzazione a cui solo i fratelli Billy e Jimmy Lee, maestri del Sousetsuken, sembrano in grado di opporsi. Questi, oltre ad affrontare i membri della gang, insegnano ai cittadini a difendersi da soli allenandoli nel loro dojo. I Black Warriors non possono certo stare a guardare e Willy Mackey, il capo della banda, accompagnato da un gruppo di suoi scagnozzi, decide di andare di persona a prendere in ostaggio Marian,   ragazza a cui i due protagonisti sono legati, in modo da poterli attirare in trappola.”

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Di qui l’inizio dell’avventura dei nostri eroi dal pugno facile, costretti ad affrontare 5 livelli pieni zeppi di nemici da spappolare e trappole da evitare, fino all’eventuale violento epilogo fratricida in cui, dopo aver finalmente sgominato i Black Warriors in via definitiva, Billy e Jimmy combattono all’ultimo sangue per stabilire chi dei due ha diritto a prendersi Marian! Quest’ultima scelta di gameplay, sin da allora, l’ho sempre trovata geniale e allo stesso tempo destabilizzante. Geniale perché era totalmente in linea con l’atmosfera violenta e spietata che si respirava nel gioco (oltretutto richiamava proprio Hokuto No Ken, ricordando la scena in cui Shin assale Kenshiro per sottrargli Julia), destabilizzante perché, dopo aver affrontato assieme quell’immane lotta, i giocatori si trovavano all’improvviso a doversi contendere tra loro l’happy ending, cambiando totalmente le carte in tavola!

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Fosse uscito oggi, non oso immaginare le lamentele delle femministe più agguerrite, che avrebbero visto in Marian l’emblema della donna oggetto la cui sorte è decisa esclusivamente dal maschio alfa, ma nel 1987 i videogames non godevano dello stesso risalto mediatico odierno e, soprattutto, erano un hobby a cui le donne non erano ancora avvezze (sì, Tetris sarebbe arrivato solo l’anno seguente), quindi ci è andata bene.

KishimotoYoshihisa Kishimoto e le origini di Double Dragon

Creatore della serie, Kishimoto iniziò la sua carriera alla Data East, per la quale realizzò due videogame su laserdisc (sullo stile di Dragon’s Lair, per intenderci) intitolati Thunder Storm (1984, noto anche come Cobra Command al di fuori del Giappone) e Road Blaster (1985, da non confondere con il quasi omonimo RoadBlasters di Atari del 1987). A quel punto successe che Kunio Taki, presidente dell’allora piccola ed arrangiata Technos, compagnia che aveva fondato nel 1981 dopo essere andato via proprio da Data East assieme ad altri due colleghi, cercava un modo per sfondare e pensava di buttarsi proprio nel mercato dei videogame su laserdisc. Poco dopo l’uscita di Road Blaster, contattò quindi Kishimoto per parlarne e, non senza una certa sorpresa da parte sua, questi gli si presentò con un’idea totalmente diversa: non un gioco su laserdisc, ma un videogame ispirato alle sue continue scazzottate alle prese con bande giovanili ai tempi del liceo! Dal canto suo Taki, un po’ perché l’idea gli piacque, un po’ perché si sarebbe risparmiato i soldi destinati allo sviluppo con quella nuova tecnologia, ci volle credere, mentre Kishimoto ripagò quella fiducia dando al protagonista del gioco il nome del suo nuovo datore di lavoro. Fu così che, nel 1986, nacque Nekketsu Kōha Kunio-kun (conosciuto in occidente come Renegade, anche se non c’entra nulla con Lorenzo Lamas…).

kunio kun

Il gioco ebbe successo in Giappone, tanto che il protagonista divenne la mascotte della Technos e Kishimoto ebbe carta bianca per la realizzazione di un sequel. Stavolta Taki gli chiese però due cose specifiche: un appeal più internazionale, in modo da poter sfondare anche in America, e la possibilità di giocare in due, per fare più soldi con i cabinati. Kishimoto allora prese le meccaniche del gioco precedente, le mescolò con il film Enter the Dragon di Bruce Lee (dal quale non solo prese il cognome dei protagonisti e i nomi di alcuni avversari – Williams e Roper – ma unendo il concetto di giocare in doppio con il titolo della pellicola ottenne il nome del gioco), gli diede l’atmosfera decadente e violenta della saga di Mad Max e di Hokuto No Ken e creò quindi Double Dragon che balzò immediatamente al primo posto tra i cabinati più redditizi e vi rimase per ben 15 mesi consecutivi!

Comunque, a parte tutto, la cosa bella di Double Dragon era non solo praticare ‘sto benedetto Sousetsuken (antica e nobile arte marziale che annoverava raffinate tecniche come i cazzottoni alla rinfusa, le ginocchiate sul setto nasale, le capocciate, le gomitate e i calci volanti in bocca…) addosso ad avversari che continuavano a spuntare sempre più numerosi ed agguerriti, ma anche farlo accompagnati da una colonna sonora che, nei limiti tecnologici dell’epoca, riusciva a gasarti e a farti immedesimare ancor di più. E questa miscela di mazzate, testosterone e sonorità eroiche, nonostante fosse ancora abbastanza grezza (il gameplay generale non era proprio perfetto) ebbe molto successo, tanto che già l’anno seguente, nel 1988, la Technos immise sul mercato un nuovo cabinato: Double Dragon II – The Revenge.

Costruito sulla medesima ossatura del capostipite, Double Dragon II è da molti considerato un semplice upgrade piuttosto che un vero sequel, ma giocandolo ci si rende conto che non è esattamente così. I nemici sono solo lontanamente parenti di quelli del primo gioco e mostrano pattern di attacco spesso conditi di varie acrobazie (oltre ad avere un’intelligenza artificiale settata su livelli di ferocia impressionanti…), mentre le colorazioni, in generale, sono più sgargianti. Quello che però colpisce subito è il diverso sistema di controllo: abbandonata l’immediatezza del pulsante per i pugni e quello per i calci, Kishimoto torna alle radici e mutua da Kunio-kun il pulsante per l’attacco a sinistra e il pulsante per l’attacco a destra. In poche parole, se si ha l’avversario di fronte e si preme il pulsante di attacco relativo alla direzione in cui si trova, partiranno dei pugni, se invece lo si ha alle spalle, premendo lo stesso pulsante partiranno dei calci. Difficile descrivere il senso di spaesamento che ne deriva, soprattutto se si mette in conto la bruttissima abitudine degli avversari di continuare a girarvi intorno senza sosta, facendovi letteralmente scimunire mentre vi corcano di mazzate. In ogni caso, quando si inizia a farci l’abitudine, il gioco ha alcune novità da offrire, come ad esempio l’aggiunta di un calcio rotante a mezz’aria (sì, prima di Final Fight, bravi…), la maggior varietà di nemici e boss di fine livello. Le uniche pecche sono le musiche forse meno coinvolgenti ed il livello della fattoria con le mucche al pascolo, che personalmente ho trovato di una tristezza unica.

In tutto questo, i due titoli collezionavano un invidiabile numero di conversioni per ogni piattaforma esistente (quasi sicuramente all’epoca anche i tostapane avranno avuto il loro porting di Double Dragon…) e il futuro sembrava roseo al presidente Taki, mentre sguazzava come un novello zio Paperone tra gli introiti che ne derivavano e passava dall’avere talmente le pezze al culo da non potersi distribuire i giochi da solo ad aprire ora una divisione statunitense della propria azienda, la American Technos Inc.,  ma la concorrenza non stava certo a guardare e il primo grosso segnale che qualcosa stava andando storto lo si ebbe nel 1989, quando la Capcom diede alla luce il già citato Final Fight. Yoshiki Okamoto, creatore del gioco, si era ispirato proprio ai due capitoli di Double Dragon e, da un lato semplificando il sistema di controllo e dall’altro aggiungendo parecchie innovazioni (oltre ad una grafica spettacolare e dettagliata), ottenne un risultato che faceva letteralmente impallidire i popolari picchiaduro con protagonisti i fratelli Lee.

final fight

Quello che successe dopo è storia dei videogames: la Capcom inanellò una serie di grandi successi, dominando il mercato dei picchiaduro a scorrimento da sala giochi (e non solo) per tutti gli anni ’90, mentre la Technos cercò di correre maldestramente ai ripari con titoli sempre più imbarazzanti che non riuscivano minimamente a reggere il confronto con la concorrenza. Questo perché, come lamentò in seguito lo stesso Kishimoto, alla Technos non si investivano abbastanza risorse nello sviluppo e ciò comportava tutta una serie di limitazioni che tarpavano le ali a qualsiasi progetto. L’esempio lampante di questa politica è Double Dragon 3 – The Rosetta Stone che, immesso sul mercato nel 1990, doveva in teoria essere la risposta alla Capcom e invece si rivelò una ciofeca di gioco che ben poco aveva a che fare con i suoi predecessori e il cui unico merito (!?) fu quello di inventare i contenuti scaricabili a pagamento più di un decennio prima che diventassero di moda.

In questo terzo capitolo della saga, infatti, esiste un negozio per ogni livello di gioco in cui è possibile acquistare personaggi extra (un wrestler, un karateka ed un chiattone cinese) energia vitale, potenziamenti, mosse segrete e perfino armi inserendo gettoni nel cabinato! Il gameplay poi è tremendo e frustrante come pochi, con nemici al limite dell’impossibile e grafica e animazioni che, nel vano tentativo di rincorrere Final Fight senza voler rompere il salvadanaio, danno al gioco un aspetto talmente pezzente che all’epoca, quando lo giocai la prima volta trovandolo in un bar durante una gita scolastica, ci rimasi di un male indescrivibile. C’era scritto Double Dragon, ma quello NON era Double Dragon. Perlomeno non quello che conoscevo io.

Persa la battaglia nelle sale giochi, la Technos pensò di far traslocare gli eredi del Sousetsuken sulle console casalinghe, realizzando Super Double Dragon (Super Nintendo, 1992), titolo che cercava di riprendere la formula originale aggiungendo alcune innovazioni ma che non era nulla rispetto all’ottima conversione di Final Fight (nel frattempo assurto a nuovo metro di paragone del genere) per lo stesso sistema. Sempre per console ci fu anche Battletoads & Double Dragon (1993), un inaspettato crossover sviluppato dalla Rare in cui i nostri eroi si alleavano con delle rane mutanti da combattimento. Nel frattempo, l’americana DiC Animation creava un aborto di cartoon intitolato Double Dragon (1993-94, da noi giunto con il titolo “Due draghi per una cintura nera”).

double dragon tv

– Ti giuro, stava fuori come un balcone! E’ sceso dalla moto, mi ha puntato un fucile in faccia e ha detto:”Tu… hai gli stessi vestiti di mio fratello!”-

Serie che in tutta onestà mi sento di definire apocrifa, composta di ben 26 episodi, praticamente del videogame aveva solo il nome, tutto il resto era armi magiche, poteri magici, maschere magiche e chi più ne ha più ne metta (l’importante è che sia magico…). E dalla serie venne tratto un picchiaduro ad incontri per home console dall’ambizioso titolo Double Dragon V: The Shadow Falls (1994), una fetecchia capace di puzzare anche peggio del cartone a cui era ispirato.  Ma il peggio doveva ancora venire…

Sul finire del 1994, nelle sale cinematografiche americane approdava il FILM di Double Dragon!

double dragon movie
Erano gli anni in cui a Hollywood facevano a gara per portare su grande schermo ogni benedetto videogame nella maniera più distante possibile dal videogame stesso. Dice: “Ma perché? Che senso aveva?” La risposta non la sapremo mai, sappiamo solo che a quel tempo Super Mario e Street Fighter erano già caduti e, col culo che avevano, Billy e Jimmy non potevano certo mancare all’appello. Fu così che ci ritrovammo a contemplare la storia di due poveri sfigati che non fanno che scappare e buscarle per tutta la durata della pellicola fino a quando, negli ultimi 10 minuti, si decidono a riunire i due pezzi di un antico medaglione che li trasforma in leggendari ed invincibili guerrieri. Io ebbi la fortuna di beccarmi ‘sto capolavoro in prima visione assoluta durante un sonnacchioso sabato pomeriggio su Italia 1. Della serie “ma facciamoci del male vero”.

Double_Dragon_pic

Nel ruolo dei protagonisti c’erano Mark Dacascos (qui ne panni di Jimmy, un anno prima di diventare famoso il film di Crying Freeman), Scott Wolf (Billy)  e Alyssa Milano (Marian) mentre il cattivone di turno, Koga Shuko, era interpretato nientemeno che Robert Patrick!

koga shuko robert patrick

– ‘Sta mano po esse piuma e po esse metallo liquido… –

L’unica cosa positiva di questo film fu il relativo gioco che la Technos pubblicò poco dopo per Neo Geo. Stiamo parlando di Double Dragon (1995), picchiaduro ad incontri che fortunatamente del film riprendeva ben poco, focalizzandosi piuttosto su un gameplay divertente e abbastanza originale da farlo distinguere dalla massa dei cloni di Street Fighter.

Pur non potendo competere con Capcom e SNK, questa incursione dei fratelli Lee nel genere più gettonato in quegli anni è interessante ed ispirata, con un parco lottatori sicuramente modesto nel numero ma anche ben assortito e, cosa più importante, dotato di una grande immediatezza nei controlli.

Questa fu tuttavia l’ultima volta che Double Dragon ebbe a che fare con le sale giochi. L’anno seguente la Technos andò in bancarotta e, da allora, le licenze dei suoi titoli vennero acquisiti dalla Million Inc., compagnia formata dallo stesso Kishimoto che, fino a poco tempo fa, si è occupata più che altro di gestire tali licenze per vari remake e porting su console casalinghe, tra i quali Double Dragon Advance (2003, Game Boy Advance) e Double Dragon Neon (sviluppato nel 2012 da WayForward Technologies per Playstation Network e Xbox Live Arcade). A riaccendere un po’ di speranza arriva però una notizia abbastanza fresca, datata 12 giugno 2015, che ci informa che la Arc System Works (famosa per diversi picchiaduro ad incontri come Guilty Gear, BlazBlue e l’ormai storico Hokuto No Ken Arcade) ha acquisito in toto i diritti della Technos con l’intenzione di dare nuovo lustro alle vecchie glorie dei videogames. Che dire? Speriamo di vedere di nuovo Billy e Jimmy prendersi a mazzate per i vicoli di qualche città postatomica e, mentre chiudo, vi lascio con un paio di curiosità 😉


  • L’immaginaria arte marziale Sousetsuken (双截拳Doppio Pugno che Intercetta) è un omaggio al Jeet Kune Do (截拳道Via del Pugno che Intercetta) di Bruce Lee.
  • Sia in Double Dragon che in Double Dragon II, Kishimoto si è divertito a citare i suoi due precedenti videogames realizzati per Data East. Nel primo, l’automobile che si vede nel garage da cui escono Billy e Jimmy è la stessa di Road Blaster, mentre nel secondo, l’elicottero nell’hangar è il medesimo di Thunder Storm.
  • Billy Lee compare fra gli entusiasti spettatori di WWF Superstars, mitico gioco sul wrestling realizzato sempre da Technos nel 1989.
    wwf superstars
  • Lo strano titolo del terzo capitolo di Double Dragon, “Rosetta Stone”, deriva da un’omonima band irlandese che Kishimoto amava ascoltare durante lo sviluppo del gioco.
  • Stranamente non esiste un manga dedicato a Double Dragon, tuttavia il manuale di istruzioni della conversione per Famicom di Double Dragon III (1991) era fatto completamente in forma di manga.
  • Nel 1991 la Marvel realizzò una serie a fumetti di Double Dragon. Anche in questo caso trama e personaggi erano distanti da quelli del videogioco originale e, dato lo scarso successo di vendite, la testata fu chiusa dopo solo 6 numeri.
    double dragon comic
  • Nel 2002 la SNK Playmore pubblicò Rage of the Dragons che, sviluppato dalla software house indipendente Evoga, originariamente doveva essere un nuovo picchiaduro ad incontri con protagonisti Billy, Jimmy ed altri personaggi della serie. Purtroppo la Million non concesse la licenza e i personaggi vennero ribattezzati diversamente pur di non buttare al cesso tutto il lavoro svolto.
    rage of the dragons
  • La copertina di Double Dragon Advance è un omaggio a The Way of the Dragon (da noi “L’urlo di Chen terrorizza anche l’occidente”) di Bruce Lee.

Ken il guerriero – Trent’anni sotto il segno dell’Orsa Maggiore

01

11 Ottobre 1984.
Sono le sette di sera di un tranquillo giovedì quando, sull’emittente nipponica Fuji Television, appare un’enigmatica scritta bianca su sfondo nero: “199X”

Una seria voce narrante la legge  e quello che accade dopo è ormai leggenda. Un fungo atomico si allarga fino a mostrarsi in tutta la sua terribile potenza, rivelando uno scenario di morte e distruzione in cui sono riconoscibili le vestigia simbolo di un mondo, il nostro, che in quegli anni sembrava davvero dover finire così da un momento all’altro. Nel frattempo la stessa voce (per inciso quella di Banjou Ginga, che diverrà in seguito doppiatore di Souther) accompagna quelle immagini descrivendo sinteticamente quanto accaduto: Il pianeta è stato inghiottito dalle fiamme nucleari e trasformato in un unico gigantesco deserto…

“Tuttavia, la razza umana era sopravvissuta!”

Stacchetto, titolo – Hokuto No Ken – Seikimatsu Kyuseishu Densetsu – , sigla adrenalinica e via, gli spettatori si ritrovano catapultati in quel mondo violento ed eroico che da circa un anno già spopolava in forma cartacea ed era divenuto la punta di diamante di Shonen Jump e della Shueisha.
Prodotta da Toei Animation, la serie animata giunse nel 1987 anche da noi, in Italia, con il titolo Ken il guerriero. Stavamo ancora bevendo il latte a lunga scadenza per via del disastro di Černobyl’ e, di lì a poco, un referendum avrebbe abrogato l’impiego del nucleare sul nostro territorio. Film come “Interceptor – il guerriero della strada” e “The Day After” ci avevano già preparato al peggio da qualche anno… insomma, il tema era ben più che caldo.

Facile capire l’impatto che ebbero su di noi le parole dell’introduzione e la suggestiva quanto indimenticabile sigla italiana di Spectra…

Da allora, il nostro paese divenne una specie di seconda patria per Kenshiro e tutti gli altri protagonisti della storia. Solo diversi anni più tardi abbiamo conosciuto il manga originale che, piaccia o no, è stato pubblicato la prima volta solo grazie al fatto che eravamo ormai un popolo “innamorato” di Hokuto No Ken. In Italia come in Giappone è difficile conoscere qualcuno che non sappia chi siano Ken, Raoul, Rei, Kaioh, Toki, oppure che non abbia mai sentito nominare Hokuto, Nanto e i punti di pressione. Per un certo periodo, fra i banchi di scuola, era girata anche la leggenda metropolitana “del colpo della morte in 3 giorni” (che venne poi ripresa da Elio e le storie tese per la mitica “Mio cugggino”), c’era poi quel compagno di classe che, dapprima patito di Judo Boy, si era messo a praticare arti marziali e affermava che il suo maestro gli avrebbe un giorno insegnato la tecnica dei cento pugni. Cioé, ragazzi, lo vedeva pure mio nonno! Giuro! E ogni tanto un “uatà!!” me lo tirava pure mia sorella, nonostante preferisse vedere Beautiful…

Ho già parlato estesamente della genesi di Kenshiro e della Divina Scuola di Hokuto in un lungo articolo in occasione del trentennale del manga originale (lo trovate qui), mentre sempre per il trentesimo anniversario ho pensato all’iniziativa congiunta “Thirty Years of Battles” (di cui potete gustare i contributi cliccando qui). Sempre per lo stesso motivo abbiamo tradotto con dovizia le interviste a Buronson e Tetsuo Hara della serie “Raccontando Hokuto” (cliccate qui), così come ho recensito in maniera oggettiva Last Piece, il nuovissimo capitolo celebrativo del manga (qui)… ma oggi… oggi diamo a Cesare quel che è di Cesare pagando tributo alla mitica serie TV!
Chiudiamo quindi simbolicamente i festeggiamenti sulla scia dei ricordi, lasciando la parola a chi, in un modo o nell’altro, ha avuto o ha a che fare in maniera significativa con l’anime.  Buona lettura!

masami sudaMasami Suda

(character designer e direttore dell’animazione)

Un uomo, una leggenda. Colui che, attraverso un character design potente e dinamico, ha definito il peculiare stile dei personaggi. Senza le sue idee ed intuizioni, l’Hokuto No Ken televisivo non sarebbe mai stato il successo planetario che è diventato.

“30 anni fa l’animazione giapponese era ancora caratterizzata da opere nel complesso piuttosto semplici, prive di una chiara elaborazione nel disegno, nelle ombreggiature e via dicendo. Perciò, a quel tempo s’incominciò ad andare un po’ a tentoni nella ricerca di qualcosa di davvero innovativo. Parlando della questione con il regista Ashida decidemmo di focalizzare la nostra attenzione su una composizione generale che avrebbe trasceso qualsiasi canone fino ad allora acquisito e di porre enfasi su una energia travolgente, ben sapendo che forse saremmo stati sommersi da critiche alle quali eravamo preparati.
Eppure, contrariamente a quanto ci eravamo aspettati, la nostra opera venne accolta senz’alcuna critica, anzi ricordo con piacere che fummo sostenuti in maniera decisiva dai più piccoli e dai giovani in generale.
Personalmente provo una profonda soddisfazione per quel che riuscimmo a fare in quel periodo.

claudio maioliClaudio Maioli

(cantante della sigla italiana)

Compositore della musica e cantante della sigla, il mitico Spectra ci ha regalato veri e propri brividi con la sua interpretazione, contribuendo a rendere ancora più tetra l’atmosfera generale del postapocalittico mondo di Ken.

“Devo dire che è passato tanto tempo. All’epoca avevo quasi quarant’anni e, trattandosi di lavoro, mi sono concentrato esclusivamente sul comporre una musica che rendesse un buon servizio alla storia e quindi alle immagini che l’avrebbero narrata.
Per oltre 15 anni ho ignorato che il cartone e la sigla avessero un seguito. Quando l’ho scoperto, per un po’ di tempo, ogni volta che i fan me lo confermavano con grande affetto e stima rimanevo sorpreso, poi pian piano ci ho fatto l’abitudine. “

alessio ciglianoAlessio Cigliano

(voce italiana di Kenshiro)

Attore, doppiatore, direttore del doppiaggio e dialoghista, è stato la primissima voce italiana del nostro eroe, quella che riecheggia costantemente nei ricordi di noi fan ogni volta che pensiamo alle gesta di Kenshiro… anche se stiamo leggendo il manga!

“Il primo impatto è stato negativo. Non avevo mai seguito anime che andassero oltre i robot spaziali e trovavo l’ambientazione cupa e inutilmente violenta. Pensai che non l’avrebbe visto nessuno… E mai valutazione fu più sbagliata!! Anni dopo, con l’affermarsi di internet, mi trovai casualmente su un forum a tema e poi rimbalzai di forum in forum. Fu allora che compresi la portata del fenomeno e la mia erronea valutazione.”

norman mozzatoNorman Mozzato

(voce italiana di Raoul)

Attore, doppiatore e regista, con la sua interpretazione possente ed autoritaria, Norman Paolo Mozzato ha reso immortale il personaggio di Raoul, principale antagonista di Ken, nel cuore dei telespettatori.
Un maestro della voce per un maestro di Hokuto!

“Raoul è stato un personaggio di una difficoltà estrema per due grandi motivi: il primo era la lunghezza dei suoi dialoghi e il secondo era la necessità di andare in sincrono con il suo labiale, dato che i pochi fondi di cui disponevamo non permettevano alcun tipo di post-produzione.
Nonostante tutto ho un ottimo ricordo dei valori della serie e dell’onore che questo personaggio rappresentava.”

giorgio bassanelli bisbalGiorgio Bassanelli Bisbal

(direttore del doppiaggio di Ken il guerriero – La trilogia)

Direttore di doppiaggio, dialoghista e doppiatore, è un grandissimo fan di Ken il guerriero e, oltre a dirigere il doppiaggio di Ken il guerriero – La trilogia, è stato più volte coinvolto come supervisore e curatore delle edizioni italiane di Ken.

“Ero molto piccolo, forse era il 1988, la prima volta che l’ho visto su Junior TV.
Mi sono trovato di fronte alla parte finale del primo episodio, quando Zeed, che tiene in ostaggio Lin, viene sconfitto da Ken e cade a terra. Mi ricordo che rimasi talmente colpito da questa scena che non aspettai altro che la sigla finale per sapere di che cartone si trattasse e, il giorno dopo, mi sintonizzai prontamente a quella stessa ora per vedere il secondo episodio.
Qual è stata la mia impressione? Il fomento. Un crescendo di fomento.
Cosa me ne ha fatto innamorare? La storia, le musiche, i disegni… tutto me ne ha fatto innamorare. La carica emotiva che c’è nella serie era qualcosa di quasi irripetibile. A quei tempi, i due anime che assolutamente ritenevo diversi da tutti erano Maison Ikkoku e Ken il guerriero che, guardacaso, venivano trasmessi entrambi da Junior TV, quindi camminavano a braccetto per me, benché fossero due cose completamente diverse. “

fighiFighi

(webmaster di Hokutonoken.it)

Reduce degli anni ’80, nel 2000 fonda quello che senza alcun dubbio è stato il primissimo punto d’approdo di ogni fan di Hokuto No Ken in Italia, dando un contributo fondamentale alla diffusione ed alla condivisione di tutto ciò che riguarda questo universo.

“Alla prima messa in onda dell’episodio 1 di Ken il Guerriero, al tempo su TelePadova, io ero lì. In quegli anni non si perdeva nessun cartone animato, figuriamoci quelli mai messi in onda prima. Dopo la prima puntata rimasi subito estasiato dal personaggio e uscii immediatamente in cerca dei miei amici per parlare di questo nuovo cartone animato che anche loro dovevano vedere assolutamente.
Parecchi anni più tardi arrivò internet e capii in fretta che questo anime, da tanti criticato e bistrattato, poteva essere invece uno strumento per unire le persone attorno ad una stessa passione. Da quella convinzione nacque HokutoNoKen.it e la community di appassionati di Ken il Guerriero che lo frequentano.”

 

Curiosità: Ken il “tappabuchi”

Nessuno (all’infuori del Giappone, ovviamente) sembra sapere che il 4 ottobre, una settimana prima della messa in onda di Hokuto No Ken, su Fuji Television veniva trasmessa la finale della Central League di baseball. Le condizioni atmosferiche erano però tali da ritenere che la partita sarebbe stata sospesa a causa della pioggia. L’emittente aveva quindi pensato a Ken come “piano B” nel caso fosse stata costretta ad interrompere la diretta, ma le cose andarono per il verso giusto: gli Hiroshima Toyo Carp vinsero la Central League e non fu necessario anticipare la messa in onda di Hokuto No Ken.

Chissà, magari anche più di qualche fan avrà pregato che piovesse pur di vedere il proprio idolo in TV una settimana prima 😉

Il primo episodio in immagini

神か悪魔か!? 地獄にあらわれた最強の男
“Divinità o Demonio!? Un uomo fortissimo fa la sua comparsa all’inferno”

  • Supervisione artistica: Toyoo Ashida
  • Sceneggiatura: Shoozoo Uehara
  • Sakkan: Masami Suda
  • Fondali: Morishige Suzuki
  • Titolo italiano: Sotto il segno dell’Orsa Maggiore

Per le immagini ringrazio il sito amico Hokuto Legacy

Ringraziamenti

Ringrazio tutti coloro che gentilmente hanno dedicato il loro tempo per esprimere un pensiero e aggiungo un ringraziamento speciale per MusashiMiyamoto, Andrea Florio e Luca Cordella.

Gli anni ’60, i rifugi antiatomici, la crisi di Cuba e Stanley Kubrick

In occasione dell’anniversario dello sgancio della bomba nucleare su Hiroshima, avvenuto il 6 agosto del 1945, ho pensato di aggiungere un nuovo capitolo alla mia personale analisi del genere post-atomico. Per chi è nuovo da queste parti (o ha voglia di rinfrescarsi la memoria), ecco i precedenti articoli:

Gli anni ’60 rappresentano un momento storico particolarmente importante per quello che riguarda il tema del nucleare. Nell’autunno del 1961, l’Unione Sovietica erigeva il Muro di Berlino e mostrava i muscoli con una serie di test per il lancio di bombe atomiche le cui radiazioni vennero portate dal vento in giro per il mondo. In risposta a tutto questo, gli Stati Uniti d’America lanciavano il Community Fallout Shelter Program, un progetto volto alla costruzione di rifugi antiatomici in tutto il paese.

(le scansioni sono di proprietà di Ward Jenkins)

Ma non bastava. La Guerra Fredda non sembrava più tanto fredda e gli Stati Uniti avevano bisogno di nuovi metodi per spiare i russi ed essere sempre al corrente delle loro possibili mosse. Questo portò alla costruzione di un velivolo militare, chiamato U-2, che fosse in grado di volare talmente in alto da sfuggire ai radar ed introdursi in territorio nemico per monitorare i siti strategici e fu proprio così che, nell’ottobre del 1962, esplose quella che è nota come “crisi dei missili di Cuba” (o, più semplicemente, “crisi di Cuba”). I voli degli U-2 americani avevano infatti svelato che i sovietici avevano installato delle batterie di missili nucleari a pochissimi passi da loro!

cartina_geografica_cuba

Ora, ovviamente, lo scopo di questo articolo non è quello di fornire un’analisi particolareggiata degli eventi strettamente legati alla politica di quegli anni, quindi sarò molto riassuntivo: agli americani, Cuba stava proprio sullo stomaco all’incirca dal 1959, quando Fidel Castro, con la sua rivoluzione, aveva trasformato il paese in uno Stato filosovietico. Già nel 1961 il presidente Kennedy aveva autorizzato uno sbarco armato nella famosa Baia dei Porci, ma era fallito miseramente. A quel punto per Castro fu più che naturale cercare di tutelarsi con l’appoggio di Mosca, concordando appunto l’installazione di quelle batterie missilistiche di cui parlavamo poc’anzi.
Ci siamo? Bene, andiamo avanti.
Dopo una fase iniziale in cui le informazioni vennero tenute riservate, il governo americano divulgò pubblicamente la situazione facendola presente anche all’ONU. Per molti storici, non si andò mai così vicini alla Terza Guerra Mondiale come nei 13 giorni che seguirono. Alla fine, Kennedy stabilì un embargo per Cuba e lo smantellamento delle basi missilistiche. Da quel momento in poi, ci sarebbe stata una linea di quarantena invalicabile entro la quale non sarebbero più potute passare le navi sovietiche. Dall’Unione Sovietica, Chruscev pretese però lo smantellamento, da parte degli Stati Uniti, dei loro siti missilistici Jupiter in Turchia. Infine, il 30 agosto 1963, si decise anche di stabilire una linea diretta tra la Casa Bianca ed il Cremlino al fine di evitare, per il futuro, nuovi incidenti diplomatici: la Linea Rossa!

linea-rossa

 LE OPERE DI QUEGLI ANNI

Con un tale livello di tensione era più che normale che scrittori e registi si scatenassero: la distruzione dell’umanità sembrava ormai qualcosa di imminente. Anche un solo uomo avrebbe potuto decidere di premere i pulsanti che avrebbero avviato la fine del mondo.

Ed è proprio con questo tipo di pensieri che, già nel 1962, torna alla carica Mordecai Roshwald (di cui abbiamo parlato nell’articolo precedente) con il suo Apocalisse tascabile (A Small Armageddon).

apocalisse tascabileL’autore, qui al suo secondo ed ultimo romanzo di fantascienza,  racconta la vicenda di Gerald Brown, capitano di corvetta sul sottomarino atomico Polar Lion. Una sera, ubriaco e in preda all’ira, uccide il capitano e, per evitare la corte marziale, decide di impadronirsi del sottomarino e dei suoi micidiali armamenti, ricattando prima agli Stati Uniti e poi le altre nazioni. Nel racconto, l’autore pone Brown a confronto con un altro personaggio, Peter Schumacher, che inserito nelle alte sfere come persona di alta rettitudine morale e fede cristiana, ad un certo punto sbrocca proprio per via di un eccesso di zelo e comincia ad imporre leggi proibizioniste volte ad eradicare ogni forma di corruzione (in modo che non possano più ripetersi casi come quello del Polar Lion). In buona sostanza, Roshwald utilizza il romanzo per mettere il lettore di fronte a pensieri contrastanti, espressi chiaramente per mezzo di un altro dei personaggi, il professor Applebaum. Questi, infatti, analizzando la situazione, mette in risalto quanto Brown e Schumacher rappresentino due modi diversi di influire sulla storia umana: la ricerca del potere e la volontà di salvare. Un libro le cui tematiche sono attuali ancora oggi e di cui potete trovare una più approfondita recensione cliccando qui.

200px-Spider-Man_spider-biteSupereroi e radiazioni

Non c’entrano con il genere post-atomico ma, giusto per rimarcare il clima di quegli anni, è importante ricordare la genesi di Spider-Man (1962) e degli X-Men (1963). Il primo, morso da un ragno radiattivo, acquisisce i suoi ormai notissimi poteri, i secondi sono invece dei “mutanti”, il prodotto diretto dell’effetto che le radiazioni hanno avuto sui geni di molte persone e che hanno quindi portato alla nascita di individui con un gene speciale. Interessante notare anche che, sempre per quanto concerne gli X-Men, molto probabilmente Stan Lee si ispirò al romanzo del 1953  “Children of the Atom” di Wilmar Shiras, in cui i protagonisti erano dei “giovani dotati”.

 

Il 1964 è, invece, l’anno di Stanley Kubrick che, con il suo famosissimo film Il dottor Stranamore – Ovvero: come ho imparato a non preoccuparmi e ad amare la bomba (Dr. Strangelove or: How I Learned to Stop Worrying and Love the Bomb), crea un capolavoro di satira capace di mettere a nudo l’effettiva stoltezza della Guerra Fredda, dei governi e dell’umanità in generale.

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Il ruolo di mattatore nella pellicola è del mai troppo compianto Peter Sellers, qui nei panni del dottor Stranamore, del presidente degli Stati Uniti e del colonnello Mandrake, ognuno a suo modo protagonista dell’assurda vicenda. Di seguito, alcuni estratti significativi:

davySempre dello stesso anno è il romanzo di Edgar Pangborn Davy, l’eretico (Davy), che in realtà è una riedizione rivisitata di due racconti dello stesso autore,  “The Golden Horn” e “A War of No Consequence”, entrambi del 1962.
In un post-atomico futuro governato da una religione che ha represso ogni forma di scienza, tutto ciò che proviene dal mondo precedente deve essere prima approvato e poi riadattato. In questo scenario il protagonista, il Davy del titolo, ritrovato un “corno d’oro” (un corno inglese), definito oggetto proibito dal culto dominante, inizierà un viaggio lungo molti anni durante i quali crescerà sia fisicamente che interiormente, ribellandosi ai dettami della cultura che gli è stata inculcata e scegliendo di confidare nel proprio libero arbitrio, esponendosi personalmente fino al punto di scatenare una rivolta. Un romanzo che, con il pretesto del mondo ridotto in rovina, tenta una critica nemmeno troppo velata alla Chiesa e alla società del proprio tempo, ma che purtroppo si riduce spesso all’uso di molti cliché.
Potete leggerlo per intero scaricandolo da qui.

cronache del dopobombaMolto interessante è Cronache del dopobomba (Dr. Bloodmoney, or How We Got Along After the Bomb) di Philip K. Dick, pubblicato nel 1965 (con un titolo che richiamava palesemente il già citato dottor Stranamore) ma in realtà già ultimato nel 1963.
Quello che viene descritto nei primi tre capitoli è il mondo di un futuro prossimo (il 1981) in cui i protagonisti di una piccola cittadina della California trascorrono la loro vita quotidiana. Dal quarto capitolo in poi, la situazione cambia drasticamente e il lettore si ritrova catapultato nel 1988, trovando i protagonisti intenti a sopravvivere nel mondo devastato dall’olocausto nucleare. In questo nuovo contesto, un astronauta rimasto bloccato intorno all’orbita terrestre assume un ruolo quasi da guida spirituale per le varie comunità, continuando a tenerle in contatto tra loro per mezzo della radio e diffondendo musica e messaggi pedagogici. Ad un certo punto però, uno dei personaggi protagonisti decide di volersi appropriare di questo ruolo di guida, mettendo in atto un ingegnoso piano…

Nel 1966 torna Pangborn con Il giudizio di Eva (The Judgement of Eve), che ripropone all’incirca la stessa formula del precedente Davy l’eretico: il mondo post-atomico, il viaggio, la crescita interiore e la scoperta di nuove realtà. Eva Newman vive isolata con la madre cieca quando arrivano alla sua casa tre uomini, con esperienze diverse. Eva, nella sua innocenza e nella sua ignoranza delle “cose della vita”, fa loro una semplicissima domanda: «Che cos’è l’amore?» La missione dei tre uomini, nel mondo distrutto del dopo-olocausto, sarà di trovare una risposta a questa domanda e sottoporla al giudizio di Eva…

Una citazione la merita sicuramente il misconosciuto film  Fine Agosto all’Hotel Ozon (Konec srpna v hotelu Ozon) di Jan Schmidt. La trama: Alcuni decenni dopo l’apocalisse nucleare che ha sterminato quasi tutta l’umanità, un gruppo di donne è in perenne viaggio alla ricerca di risorse per sopravvivere e di eventuali altri superstiti, in particolare uomini, che consentirebbero loro di procreare e mantenere in vita la razza umana. Alla loro guida c’è una donna più anziana, l’unica che ha conosciuto il mondo prima del conflitto…

hotel hozon

Prodotto in Cecoslovacchia nel 1967, “non piacque affatto ai vertici dell’esercito socialista di Praga perchè parlava di un mondo distrutto, nel quale la guerra aveva lasciato in vita solo la disperazione di pochi sopravvissuti. Secondo i responsabili dell’esercito cecoslovacco era impensabile descrivere una realtà simile perché un paese socialista doveva battersi per la pace nel mondo e non erano immaginabili scenari di distruzione e di morte. Ma il film fu “lavorato” sfruttando una zona utilizzata dall’esercito cecoslovacco per le esercitazioni. “Fine agosto all’Hotel Ozon” non piacque ai generali che lo visionarono e finì in un magazzino senza “vedere” il buio delle sale cinematografiche di Praga. L’esercito non aveva una sua distribuzione cinematografica! Il destino del film era segnato. Infatti, l’opera finì nella lista dei film da bruciare. Un ufficiale si prese la responsabilità di chiamare Jan Schmidt la notte prima del “rogo” avvertendolo del destino che si stava compiendo. Il regista riuscì a salvare il suo piccolo capolavoro. A quel punto il film passò misteriosamente la frontiera cecoslovacca e fu presentato al festival del nuovo cinema di Pesaro. Il regista fu invitato. E il film vinse a sorpresa un premio da parte del Vaticano che lodò l’impegno del regista contro i pericoli di un conflitto mondiale. Schmidt racconta che Pasolini invidiò molto quel premio perchè in quegli anni il regista sperava in un riconoscimento diretto da parte del Vaticano e della Chiesa sul suo lavoro di regista. Il problema per Schmidt fu che quando gli fu conferito questo premio nel 1967 era ancora un soldato e aveva ricevuto nientemeno che un premio dall’odiatissimo Vaticano. Il festival del cinema di Trieste consacrò l’opera anche a livello internazionale e il regista divenne “intoccabile”…….sia perchè era stato “benedetto” dal Vaticano e sia perchè era diventato troppo noto” (Lanfranco Palazzolo).

Chiudiamo con il trash spinto di stampo nipponico: L’allucinante fine dell’umanità (Konchu DaisensoLa guerra genocida degli insetti), diretto nel 1969 da Kazui Nihonmatsu. Perché il Giappone, secondo voi, poteva stare a guardare mentre nel mondo tutti sembravano in preda alla psicosi del nucleare? La risposta mi pare ovvia: un NO che si concretizza in un horror di un’ora e 24 minuti in cui la parte del leone la fanno dei micidiali insetti assassini creati da una scienziata pazza. Che c’entrano con la bomba, direte voi? Sinceramente non saprei, ma forse il regista pensava che la situazione non fosse già abbastanza pesa di suo e ha voluto includere nel pacchetto anche una bella distruzione nucleare di massa. Mi pare pure giusto…
Beccatevi il trailer!

Tuttavia, a parte gli scherzi e tornando al motivo che mi ha spinto a pubblicare questo nuovo capitolo sulla storia del genere post-atomico, c’è da segnalare che nel 1966, sempre in Giappone, “un tale” di nome Keiji Nakazawa pubblicava un manga dal titolo Kuroi ame ni utarete (黒い雨にうたれて – Sotto la pioggia nera), basato sui suoi ricordi da piccolo protagonista del bombardamento di Hiroshima. Ma di questo, mi riservo di parlare nel prossimo articolo.

(Continua…)

 

MAD MAX : Fury Road – Il trailer

Se siete fan di Ken il guerriero, non potete non conoscere la saga di Mad Max. E se conoscete Mad Max, dovreste già sapere da tempo che nel 2015 uscirà nei cinema Mad Max: Fury Road, un nuovissimo capitolo diretto sempre da George Miller, padre della serie. In alto potete vedere il trailer rilasciato in occasione dell’annuale Comic-Con di San Diego e sul quale credo che sia superfluo ogni commento: Lo spirito visionario alla base dei capitoli interpretati da Mel Gibson è ancora vivo! Miller è pronto a dipingere nuovamente l’immaginario postapocalittico che ha creato trent’anni fa!

Questa volta, nei panni di Max Rockatansky ci sarà Tom Hardy  (The Dark Knight Rises, Inception…) mentre, a fargli da spalla, la bellissima (oh, per me è sempre stata la donna più bella del mondo) Charlize Theron, che intepreterà la combattiva Furiosa. Il cattivissimo, questa volta si chiama Immortan Joe, dietro la cui evocativa maschera si nasconde Hugh Keays-Byrne, ovvero il Toecutter del primo capitolo della serie!

(Ringrazio Divina Scuola di Hokuto per la segnalazione)

Guardarsi allo specchio e vedere Hiroshima

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Oggi, nel ricordare l’anniversario della tragedia di Hiroshima, ho voluto scegliere un’immagine emblematica. Non il fungo atomico, non i cadaveri e le macerie, ma un orologio. Un orologio fermo alle 8 e un quarto di quel maledetto 6 agosto del 1945. La foto è stata scattata da Massimo Melica presso il Peace Memorial Museum di Hiroshima e, dal suo blog , riporto il seguente pensiero:

“L’orrenda morte di migliaia di persone che videro sciogliersi e colare dalle unghie il grasso della loro pelle, che morirono per gli organi interni carbonizzati, che soffrirono per ore con il 98% del corpo ustionato, che videro i loro cari scarnificati in pochi attimi non deve trovare l’oblio nelle nostre coscienze.”

Questo per ricordare che, purtroppo, un mondo come quello di Ken il guerriero non è solo fantascienza, ma il riflesso di un passato recente e di un futuro possibile.

Anche in questo momento, mentre scrivo, tantissimi conflitti vengono combattuti nel mondo, senza contare i gravi danni ambientali dovuti all’inquinamento e allo sfruttamento incontrollato delle risorse del pianeta. Possiamo davvero sfuggire all’autodistruzione? Forse no, eppure, ognuno di noi può fare la sua parte nel tentare di cambiare le cose.

Perché la GUERRA è solo il prodotto di caratteristiche individuali negative quali l’avarizia, la meschinità, l’invidia, l’ambizione smodata, la mancanza d’ascolto, l’insensibilità, l’odio, il razzismo, la paura di ciò che non si conosce, l’egoismo, la violenza, l’arroganza

Potremmo andare avanti per molto.

Come disse il Mahatma Gandhi:

“Sii il cambiamento che vuoi vedere avvenire nel mondo”

Un videogame in arrivo nel 2014 per MAD MAX

mad max game

In un sito che parla di Hokuto No Ken, non si può evitare di parlare di Mad Max. Le ragioni sono molteplici: Non solo la saga del giovane Mel Gibson postatomico è stata la principale fonte d’ispirazione per il capolavoro di Bronson e Hara ma, soprattutto per noi che siamo cresciuti negli anni ’80, rappresenta il fulcro di un immaginario collettivo che non ha mai smesso di influenzare i media da più di 3 decenni. In attesa di parlare più estesamente delle relative pellicole, andiamo a gettare uno sguardo al videogame, previsto per il 2014 (su PC, PS3, PS4, Xbox 360 e Xbox One), prodotto da Warner Bros e in lavorazione presso gli Avalanche Studios.

Presentato durante lo scorso E3 con un breve teaser, Mad Max promette di far rivivere tutta l’azione e tutta l’atmosfera postapocalittica dell’omonima serie cinematografica. Nei panni di Max Rockatansky (che, purtroppo nel gioco NON avrà le fattezze di Gibson) daremo la caccia ad una pericolosa banda di predoni che si è appropriata del nostro Interceptor, anelando nel contempo l’evasione dalla nostra folle esistenza cercando le leggendarie Pianure del Silenzio.

Intervistati a proposito del gioco, gli Avalance Studios dichiarano: “MAD MAX è un gioco stand alone, che si distacca dai film, (…) quindi storia e personaggio saranno completamente inediti nel nostro gioco(…) Abbiamo scelto di dare una nostra interpretazione e visione di Max ed è da questo che nasce la scelta di realizzare una nuova storia.”

Non si tratterà quindi di rivisitare la trama dei film ma di dar vita ad un nuovo capitolo della storia di Max. Una scelta forse “poco furba” se si pensa che molti fan accaniti della serie lo comprerebbero solo per il piacere di rivivere le avventure viste in celluloide, ma a mio modesto parere molto più intrigante se, invece, si pensa che in questo modo tanto gli sviluppatori quanto l’utente finale avranno in questo modo meno limiti.

Grande spazio sarà dato ai combattimenti con le automobili, le quali saranno potenziabili in molti modi diversi. Non mancheranno le fasi in cui a contare sarà la potenza di fuoco, le sezioni stealth ed il combattimento corpo a corpo, il tutto in un ambiente open world. Neanche la vera e propria “sopravvivenza” verrà lasciata al caso: pare infatti che il protagonista avrà bisogni di mangiare, bere e riposare in maniera regolare per evitare di indebolirsi.

Insomma, le premesse per un ottimo gioco sembrano esserci tutte, speriamo che il risultato finale sia davvero in grado di farci immergere in maniera convincente in quel mondo distopico e violento, fatto di paesaggi desolati e malinconici, che tanto ci spaventava e tanto ci affascinava quando eravamo ancora soltanto dei bambini.

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